Un paese dimenticato, ma straordinario. (di Guido Araldo)
(Saliceto nel 1400, affrescato nella chiesa di Sant’Agostino)
Saliceto, in Val Bormida, nelle Alte Langhe, paese di “frontiera” tra Piemonte e Liguria, è una terra che va destandosi da un lungo torpore, accentuato da un secolo d’inquinamento industriale finalmente alle spalle. E proprio questo paese ha scoperto di possedere tesori architettonici e pittorici straordinari, tre dei quali unici.
Con l’ottica della valorizzare di questi tesori, sabato 16 aprile verrà aperta nel castello la prima stagione turistica, sotto il patrocinio del Comune e delle varie associazioni presenti sul territorio a cominciare dalla Pro Loco, con successiva visita guidata ai “beni artistici”.
In tale occasione saranno festeggiati i due principali artefici di questa “riscoperta”:
Guido Araldo, storico locale, che ha individuato ed evidenziato i “tesori salicetesi”, con la stesura, anche di libri locali;
il professor Giorgio Baietti, che ha portato a Saliceto la televisione, rendendo possibile che il paese diventasse noto al grande pubblico nella serata di giovedì 11 gennaio, tramite la trasmissione misteri. E proprio in quella trasmissione televisiva il professor Baietti ha ravvisato straordinari collegamenti con i “misteri” di Altare e di Rennes-le-Chateau.
Ecco un breve elenco dei tesori salicetesi:
anzitutto i due monumenti nazionale della chiesa parrocchiale di San Lorenzo, massimo esempio di architettura rinascimentale in Piemonte e in Liguria, e il campanile romanico della chiesa “extramuros” di San Martino in località Lignera;
seguono gli affreschi tardo gotici o, se si peferisce, gotici - provenzali del già citato San Martino (secondi soltanto a quelli di San Fiorenzo di Bastia) e di Sant’Agostino, questi ultimi con straordinari riferimenti cortesi e non soltanto religiosi (purtroppo la terza chiesa affrescata nel 1400, San Rocco, è stata abbattuta e i suoi affreschi si possono ora ammirare nel salone della provincia a Cuneo); da evidenziare il possente castello con un’ala gotica, l’armonioso cortile rinascimentale dotato di un loggiato su due ordini, il portale barocco… e anche il centro storico già documentato nei succitati affreschi di Sant’Agostino (vedere la prima immagine) che conserva ancora la struttura medioevale originaria, quand’era chiuso da mura, con torri, circondato da un grande fossato colmo d’acqua, nonostante gravi rimaneggiamenti postbellici.
Da queste mura si aprivano 3 porte, protette da altrettante torri:
a) la porta Cunea, adiacente al castello fu abbattuta non molti decenni fa e presentava una struttura gotica (come la porta rimasta a Mombarcaro);
b) la porta della Galera, all’estremità opposta di Via Vittorio Emanuele II, un tempo nota come Contrada Maggiore, affiancata da più portici di quelli rimasti presso la “Volta Rossa”;
c) la porta “di Savona”, protetta dalla torre della Fontana (nell’angolo sud-est del paese antico, dove permane un bellissimo porticato), a ridosso dell’abside della chiesa di santa Elisabetta.
Le vie Vittorio Emanuele II (anticamente note come Contrada Maggiore) e Umberto I (già Via Savona, s’intersecano perpendicolari come un “cardo” e un “decumano” romani.
Occorre ricordare, a riguardo, che tutta la Val Bormida prende il nome dalla conquista romana risalente probabilmente al 178 avanti cristo:
Castino dal Castrum principale della legione romana,
Vesime dai 20 miglia che separavano da Acqui (Aquae Statiellae),
Cortemilia da Cohors Aemilia (il reggimento del tribuno Emilio),
Gorzegno da Cohors Aeni (il reggimento del tribuno Ennio),
Monesiglio da “mons vigilium” o, anche, “mons occellus” dallo stesso significato: bricco delle guardie o dei vedette,
Camerana da cemeranus: il pontile fluviale dove attraccavano le camerae (zattere protette da scudi sia ai bordi che sulla sommità che ebbero grande uso sui fiumi come il Reno e il Danubio). Il fiume Bormida, all’epoca più ricco d’acqua, costituì probabilmente la principale via di penetrazione,
Cengio da Cinglo, come peraltro veniva ancora indicato in epoca medioevale: da cingere, chiudere alle spalle l’oppidum ligure assediato, fors’anche con fossi e palizzate.
E Saliceto? Saliorum situm! Sito dei Liguri Salui noti come Salassi al di là del Po. Sale Langhe, Sale San Giovanni, Saliceto, Saleggio (nome antico di Castelletto Uzzone) e anche Salea di Albenga (antico oppi dum ligure degli Ingauni) traggono dai Salui citati dallo storico Tito Livio che accenna ad una loro migrazione dalle rive del Rodano (dove ora sorgono Arles e Avignone) verso la Valle dell’Eridano (il Po). E Sale Langhe, Sale S. Giovanni, Saliceto e Castelletto Uzzone sono contigui!
E’ lecito supporre che nel Medio Evo tre borghi convissero a Saliceto:
il Borgo Forte, ovvero il castello sulla collina noto come Castelvecchio;
il Borgovero (burgus veterus) sul crinale della stessa collina verso settentrione, soggetto a smottamenti,
e il borgo (nuovo) nel fondovalle, l’attuale.
Similmente c’erano tre chiese:
l’antichissima Sant’Elena (forse di origine bizantina, l’ecclesia di Saliceto citata in documenti anteriore al Mille; l’unica descritta come “ecclesia” su tutte le Alte Langhe) a metà della collina della Rosa, già collina della Margherita, come documentato dal parroco Don Fenoglio nelle sue memorie, con il cimitero sovrastante in prossimità della casa di “Giovenale” (vi furono trovate molte tombe durante uno scasso per la costruzione di una vigna);
una chiesa altrettanto antica in prossimità del Borgo Forte, tra il Castelvecchio e il Borgovero, di cui è ignoto a quale santo o santa fosse consacrata, demolita un secolo fa per la ristrutturazione della chiesetta di San Giovanni del Mu (testimonianza di mio padre, che in più occasioni m’indicò il luogo dove sorgeva);
la chiesa di Santa Maria citata nel più antico documento di Saliceto, datato 16 novembre 1481, situata probabilmente nel borgo del fondovalle, precedente a San Lorenzo rinascimentale: Santa Maria de Templio (Notre-Dame dei Templari)? O Santa Maria de Gudega, la più antica plebs de Langa, riportata in bolle papali anteriori all’anno Mille? Questa pieve in epoca antichissima aveva sovranità sull’intera Val Bormida a monte di Monesiglio; poi, dopo l’istituzione della plebs di San Pietro di Millesimo, la sua sovranità si limitò su Cengio, inclusa la Rocchetta, Camerana, Lavaniola quae dicitur Gauta Sicca e l’ecclesia di Saliceto o Salexeto.
La Piazza del Municipio, ora piazza della Libertà, era il Confozzo: l’unica piazza del borgo di Saliceto, protetta peraltro da un’antica torre, la torre del Confozzo. Qui convergeva la processione del Corpus Domini dopo aver “toccato” le tre porte e vi avveniva, durante una sosta, l’ostensione dell’ostensorio (come documentato nella “Monografia di Saliceto” del dottor L. Mazzone). C’era poi la torre più alta di Saliceto, all’interno del borgo, nota come “torre dell’Ocrio”, che nessuno finora è riuscito ad individuare dove si trovasse.
L’angolo più suggestivo, integro e antico di Saliceto, è la piazzetta della “conceria”, giusto sul retro della “casa del cardinale”, oltre il portico: un angolo che dovrebbe essere preservato integro, senza scellerati restauri, da abbinare al castello, alla chiesa, a Sant’Agostino, a San Martino: un nucleo storico unico in tutte le Langhe, incluse le alti valli della Bormida liguri. Un angolo che, mi sia concesso, andrebbe chiuso al traffico per quanto possibile e costituire una magnifica isola pedonale; dotata, anche, di una continuità: senza barriere come il muro che divide il parco del castello dal sagrato della chiesa. Il borgo salicetese presenta peraltro caratteristiche architettoniche più liguri che piemontesi, per i tipici carruggi, le strette “chintane” e gli archetti (ormai ridotti a tre) che collegano tra loro le case…
Veniamo ora alle tre unicità di Saliceto, evidenziate dalle ricerche di Guido Araldo.
a)la facciata della chiesa rinascimentale di San Lorenzo, dal perfetto stile rinascimentale toscano, attribuita ora a progetti bramanteschi e ora a Leon Battista Alberti.
Ma che cos’è che la rende unica al mondo? Un’eccezionale pagina di pietre parlanti dove spiccano:
1) un Bafometto templare riprodotto esattamente come descritto dal cancelliere Guglielmo da Nogaret nell’atto di accusa contro i Templari, che permise di tacciarli anche d’idolatria durante il processo a loro carico (una figura antropomorfa dagli enormi baffi con gambe da caprone)
2) due athanor (forni alchemici per la pietra filosofare), ai lati del portale d’ingresso,
3) tre volti “floreali” attribuibili a Ermete Trismegisto, il maestro d’ermetismo considerato tre volte grande, simile ad analoga scultura sul portale d’accesso del palazzo Doria a Genova, ma totalmente desueto sulla facciata di una chiesa.
4) la rosa e la spina templari ai lati del portale d’ingresso, colonne di tredici rose anch’esse di palese ispirazione templare,
5) simboli alchemici quali rose a spirale, salamandre, rane o rospi alati…
6) simboli esoterici quali il quadrifoglio chiuso nei cerchi concentrici dell’apprendista, del compagno d’arte e del maestro, probabili fronde di acacia, il fiore del silfio…
7) il dio pagano “Giano bifronte” abbellito da delfini;
8) la piccola testa di filosofo (Platone o Hiram) alla sommità della decorazione interna nella parasta di destra del portale di accesso;
9) nel portale di sinistra la contrapposizione tra tartaruga e calice con testa di angelo alla sommità delle decorazioni interne delle parastre…
poi, all’interno della chiesa totalmente affrescata, con pregevoli tele seicentesche, un pulpito medioevale e almeno una tela palesemente esoterica: un’ultima cena con San Giovanni simile alla Maddalena e Giuda raffigurato come il più bello degli apostoli, mentre volge le spalle alla mensa…
b) in castello, oltre ad una natività attribuita al pittore senese Taddeo di Bartolo, i straordinari affreschi di una nicchia fino a pochi anni fa nascosta: dipinti unici per la raffinatezza sia in Piemonte che in Liguria, di difficile datazione tra il 1300 e l’inizio del 1500.
Volti femminili inseriti in triangoli e semicerci, anch’essi molto esoterici:
(si noti l’estrema raffinatezza di questo capitello come adagiato su un cesto,
raffigurante la palma del martirio o una fronda di acacia?)
o in stelle di Davide tra raffinatissimi tralci:
c) un’emblematica pietra degli “onesti compagnos” o “francs-maçons” costruttori di cattedrali e chiese, antichissima, anch’essa unica probabilmente a livello mondiale:
il paiolo con le insegne dei marchesi Del Carretto, signori di Saliceto che fu feudo indipendente fino al 1450 con Paroldo, Camerana, Gottasecca e Rocchetta di Cengio, poi acquisito dai marchesi del Finale (5 bande rosse diagonali su campo dorato): paiolo affiancato da due martelli e sormontato dal triangolo! Una pietra anch’essa nascosta, con la parte scolpita rivolta verso il muro, rinvenuta casualmente durante lavori di ristrutturazione di una casa nel centro storico: una casa che ancora recentemente apparteneva al castello.
Infine i misteri:
- per quale motivo il cardinale - marchese del Finale Carlo Domenico Del Carretto, il cui nome è scolpito sull’architrave del portale centrale e le sue insegne vescovili, marchionali, cardinalizie abbondano sia all’esterno che all’interno della chiesa volle la costruzione di un simile monumento straordinario proprio a Saliceto? Era un personaggio politico potentissimo, plenipotenziario in Europa sia del papa che del re di Francia, coevo a Leonardo da Vinci e destinato a diventare papa se non fossero sorti contrasti insanabili tra Giulio II e Luigi XIII.
- perché questa chiesa fu consacrata soltanto duecento anni dopo nel 1740, il 9 agosto vigilia di San Lorenzo?
- cosa si nasconde sotto il suo pavimento dove sono note 5 stanze piene di cadaveri privi casse e oggetti preziosi?
- sotto gli affreschi delle volte si occultano affreschi più antichi, coevi alla costruzione della chiesa, straordinari come quelli scoperti in castello?
E ancora:
- quanti sotterranei attraversano il sottosuolo del paese, come quelli documentati che uniscono il castello alla chiesa e all’antica piazza del Confozzo, all’estremità opposta del borgo? O come quello “mitico” che sale al Castelvecchio in cima alla collina della Rosa (collina anticamente della Margherita che mutò il nome in collina della Rosa probabilmente in epoca templare)?
- per quale motivo ci sono cunicoli antichissimi, dalle volte in pietra, sulle colline circostanti? Il più importante è quello della “Grüta”, amplissimo, lungo 77 metri e terminante in una stanza ovale, ovviamente anch’esso nascosto da una casa colonica posta al suo ingresso.
- quale mistero, infine, collega Saliceto a Rennes-le-Chateau, con simbologie analoghe all’interno delle due chiese evidenziate dal professor Baietti? Per giunta il parroco don Fenoglio fu misteriosamente assassinato come l’abbate Gelis, il prete di Coustaussa, a pochi km da Rennes-le-Chateau… l’uno nell’estate del 1875, l’altro nel 1897…
E poi la storia del tesoro di Abdul Amin, principe saraceno che volle essere sepolto in un sarcofago tutto d’oro grande come la nave che lo aveva portato alla Baia dei Saraceni presso Capo Noli: forse il tesoro più grande d’Italia, descritto da Alberto Fenoglio, il padre della “Torino Magica”, nel libro “A caccia di tesori”, Edizioni “Piemonte in Bancarella”. Un tesoro nascosto in labirinti inaccessibili sotto la Collina della Rosa!!!
In ultimo Saliceto non fu mai acquisito legalmente dai Savoia (per decenni l’imperatore del Sacro Romano Impero continuò ad infeudarlo ai Re di Spagna con Paroldo, metà di Camerana e parte della Rocchetta di Cengio) e per certi versi costituisce una Seborga nelle Alte Langhe.
RadioJeans ValBormida intervista i personaggi chiave durante l'apertura della stagione turistica 2011 a Saliceto in provincia di Cuneo. Questo paese è stato protagonista di servizi televisivi in quanto presenta aspetti storici ed iconografici enigmatici ed estremamente interessanti.