UN PO’ DI STORIA…

Non si conosce la data precisa della fondazione di Saliceto, ma la sua “Pieve” viene menzionata per la prima volta nel diploma di Ottone II (967 dC) con quelle di Millesimo, Cengio, Cosseria ed altre ancora come dipendenti dal Vescovo di Savona. Più certa sembra essere la toponomastica, secondo cui il paese prese il nome dai molti salici presenti in questi luoghi.
I primi documenti storici attestano che Il primo e vero maniero del paese fu costruito sulla sommità della collina della Rosa con il duplice villaggio di Borgovecchio e Borgovero e la chiesa di S.Elena e che fu di strutto dai Saraceni nei primi decenni del 900. Tale banda di predoni si era spinta fino ad Acqui, dove il valore di Aleramo la sconfisse assieme al suo feroce capo Sagitto per cui ricevette dall’imperatore tedesco Ottone I in feudo il Monferrato e le nostre terre. In tanta desolazione,giunsero in Langa,i Benedettini da Faenza ed a Monbarcaro costruirono il primo monastero che divenne poi priorato e intorno ad esso nacque il paese di San Benedetto Belbo.Da qui partirono i monaci ad evangelizzare e civilizzare le zone limitrofe fino al nostro Paese.

A Lignera nacque così un secondo minuscolo paese attorno alla chiesa di S.Martino, costruita nel primo secolo dopo il Mille. Il nome di Saliceto ( esattamente Salexedo) compare per la prima volta nel 967 in un pubblico atto di donazione elargito dall’imperatore Ottone I ad Aleramo come ricompensa della sua vittoria sui saraceni:le terre del Vasto ( o del Guasto, guastate dalla numerose incursioni nemiche).
L’origine dell’attuale castello sito in paese si perde nel buio dei secoli,fino all’anno 1450 quando la documentazione storica asserisce che non fu soltanto una casaforte.

Parlare di questo castello è per me un rimembrare momenti di gioia infantile,qui con le amiche di sempre Patrizia ed Emanuela trascorrevo ore di giochi nel parco all’ombra dei maestosi ippocastani.
Il castello quindi,come lo riceviamo oggi, è il tipico esempio di edificio nato come struttura militare e via via, trasformato in palazzo signorile di residenza.
Difficile stabilire con esattezza storica quando sorsero le prime case intorno al castello e alla prima chiesa di S.Maria, che probabilmente sorgeva nell’attuale sede della chiesa parrocchiale.
Comunque Saliceto fu dominato per cinque secoli dalla dinastia dei Del Carretto con sconvolgenti ed intricate guerre.
Dobbiamo ai due figli del marchese Giovanni di Finale se il nucleo dell’attuale capoluogo incominciò a diventare paese attorno ai due edifici importanti e qualificanti, il castello e la chiesa, che durante il 1500 crebbero quasi come gemelli: il primo ristrutturato ,la chiesa invece iniziata dalle fondamenta,tanto che gli abitanti del secondo paese di LIgnera fondato dei Benedettini, si trasferirono nell’attuale concentrico per il fenomeno “emigratio ad castrum”.

Le nuove case addossate fra i carruggi,furono protette da poderosa mura interrotte da due Porte:la porta Cunea verso Cengio e la porta Galera verso Camerana. Entrambe le porte erano munite di ponte levatoio e difese da una torre quadrangolare. Il fabbricato di Porta Cunea, la cosiddetta “casa comunale”, comprendeva la sala consiliare, la scuola e la prigione. Poichè le due porte risultarono nel tempo troppo anguste per consentire il passaggio della strada provinciale, intorno al 1880, vennero allargate con la demolizione di parte del fabbricato laterale alla Porta Galera e di un tratto del muro di cinta del giardino del castello, in corrispondenza della Porta Cunea. Questo intervento comportò anche la demolizione delle torri sovrastanti i due accessi.

La storia del paese si inserisce per lungo tempo nelle vicende dei marchesi Del Carretto. Nel corso del XII e XIII secolo, non potendo contrastare da soli la crescente potenza di Genova, i marchesi aleramici si resero vassalli del potente libero comune di Asti, giurando ad esso fedeltà in cambio di protezione.
Enrico II Del Carretto, morto nel 1239, figlio di Enrico I il Guercio discendente di Aleramo e capostipite della famiglia, e dopo di lui i successori Giacomo e Corrado, assoggettarono anche il feudo di Saliceto ad Asti, ricevendone l’investitura. Risulta così dalle fonti storiche che l’8 aprile del 1251, Giacomo giurò fedeltà al Comune di Asti ottenendo in feudo i castelli di Novello, Montechiaro, Lequio e, appunto, Saliceto.
Fu così che il castello , passato con tutto il feudo al figlio di Giovanni, Alfonso I, subì la sconvolgente modificazione che lo rese nelle forme architettoniche attuali.
Intanto il fratello, il Cardinale Carlo Domenico, metteva la prima pietra alla chiesa parrocchiale la cui facciata è stata dichiarata monumento nazionale. Il nostro S.Lorenzo è infatti uno dei quattro gioielli rinascimentali del Piemonte (con l’Assunta di Roccaverano, al S.Giovanni di Torino duomo,e al S.Sebastiano di Biella). Tutti con lo stesso progetto di scuola bramantesca portato da Roma. Tuttavia il nostro cardinale non ebbe la gioia di vedere l’opera finita. Furono i suoi parenti che posero la cupola sulla chiesa.
Ma a chi appartenne nei secoli il castello? Per oltre 500 anni fu di proprietà dei Del Carretto,passando da un ramo all’altro della famiglia.Gli ultimi due feudatari che lo abitarono, furono Carlo Geronimo e Antonio maria Bernardo, marchesi di bagnasco e saliceto.Geronimo al servizio dei Savoia nel 1681 represse la guerra del sale nel Monregalese ebbe la nomina di governatore del piemonte.Meno noto Antonio Maria Bernardo che ospitò nella grande sala nobile la Sacra Sindone con la corte Sabauda che da genova tornavano a Torino.

Alla morte di Antonio senza eredi, il feudo passo alla sorella Paola sposa del marchese Vincenzo Damiano.Quando la dinastia dei Damiano si estinse ( 1813), il feudo di Saliceto passò alla famiglia Faussone di Clavesana, che governò per 37 anni.Nel 1850 il castello fu venduto al sig.Cesare Barberis, a cui subentrarono per ultimi i Mazzone, le cui nipotine, nella seconda meta’ degli anni ‘60 trascorrevano l’estate con la nonna a Saliceto e che furono per qualche stagione mie care compagne di giochi.
Ho ricevuto questo materiale molto prezioso e grazie al gentile consenso dell’autore lo pubblico integralmente.
Guido Araldo è nato a Saliceto, vive a Cuneo. Autore di 44 opere fra romanzi e saggi storici, alcuni dei quali apparsi in Francia .Nel 2000 ha vinto il primo premio del concorso letterario “Galeotto del Carretto” con il libro Prèscricia, la Pietra Scritta. Già autore dell'unico studio esistente sulla Chiesa "esoterica" di San Lorenzo di Saliceto, base di un recentissimo programma televisivo, Guido Araldo ci racconta la storia di questo borgo antichissimo, vera porta delle Langhe verso il mare.
I suoi libri sono presenti nel catalogo online Feltrinelli. Per informazioni più dettagliate si invita a consultare il sito Editoriale l'Espresso "ilmiolibro.it".
Storia di Saliceto I
L'esistenza del vecchio nucleo abitato sopra la collina detta della Margherita è documentata da Moriondo nei (Monumenta Aquensia) in data antecedente il X secolo. Il luogo era originariamente suddiviso in due borghi: Borgovero e Borgoforte, entrambi distrutti, si suppone, dai saraceni durante le scorrerie tra i secoli IX e X.
Nei XII - XIII secoli la collina mutò nome da collina della Margherita in collina della Rosa, toponimo che lascia supporre una presenza templare, anche per gli ottimi rapporti che intercorrevano tra l'Ordine del Tempio e il marchese Enrico II De Carretto, signore di una marca che si estendeva dalla Riviera di Finale alle colline del Barolo, con il castello di Novello sovrastante il Tanaro conteso agli Albesi.
Ai due borghi sulla collina, noti ora come Bergvé (burgus veterus) e Cascté Vej (Castelvecchio), subentrò nel fondovalle il Borgo "Nuovo", circondato da mura protette da ampi e profondi fossati colmi d'acqua (ancora oggi "andè ar burg" significa andare in paese e "dré di fosci" "dietro ai fossati" sono le strade adiacenti a quegli antichi fossati dove ora transita la strada provinciale).
La probabile presenza sulla collina della Margherita di un'antica città ligure (Karystos?) ha influenzato profondamente la toponomastica della Media Valle Bormida di Ponente, che deriva dai giorni lontani della conquista romana. Le legioni risalirono la Valle Bormida da Piacenza e Tortona (l'antica Derthona): il paese di Castino fu il luogo dei "castra", l'accampamento principale; Cortemilia prese nome dall'insediamento della Cohors Aemilii (la coorte del tribuno Emilio), Gorzegno dall'insediamento della Cohors Ennii (la coorte del tribuno Ennio), Monesiglio da Mons Vigilium (il monte delle guardie, l'avamposto delle sentinelle), Cengio dal verbo cingere, chiudere, più ancora circondare secondo la tipica strategia romana d'impedire l'afflusso di rinforzi o semplici vettovagliamenti ad una città assediata. E ancora: Levice, a metà strada da Cortemilia a Gorzegno, potrebbe derivare da "levis iter": agile cammino tra gli stanziamenti delle due coorti; mentre Camerana deriverebbe da cameranus: il pontile dove attraccavano le chiatte militari romane dette appunto "camerae", per la parte superiore e laterale protetta da scudi (all'epoca il fiume Bormida, che deriva il nome dalla dea ligure Bormia, signora delle acque, similmente a Bormio in Valtellina, era sicuramente molto più ricco d'acqua, peraltro non esistevano le derivazioni che portano l'acqua nell'altra Valle Bormida, quella di Spigno).

Il nome stesso di Saliceto trarrebbe origine non tanto dai salici, abbondanti nel fondovalle e presenti nello stemma comunale, quanto dai Liguri Salii o Sallui, che oltre il Po, a settentrione, erano noti come Salassi, e pertanto significherebbe Saliorum Situm (luogo dei liguri Salii). Lo storico romano Tito Livio fa cenno a una loro remota emigrazione dalla Provenza, verso la Val Padana, dopo l'insediamento greco di Marsiglia nei loro territori. A suffragare questa ipotesi vi sono i toponimi limitrofi a Saliceto di Sale delle Langhe, Sale san Giovanni a ponente, e di Saleggio a levante: l'antico nome medioevale di Castelletto Uzzone.
Esattamente tra i tre borghi di un tempo: veterus (Borgovero o Borgovecchio), forte (Borgoforte o Castelvecchio) e il borgo nuovo nel fondovalle, è documentata la presenza dell'antica chiesa di Sant'Elena, dall'emblematico nome bizantino, con sovrastante cimitero in un campo in tempi più recenti adibito a vigna, dove sono emerse molte tombe.
La prima citazione di Saliceto (Salocetum e anche Salexetum) figura nel più antico documento della regione: la donazione ad Aleramo e ai suoi discendenti da parte dell'imperatore Ottone I del Sacro Romano Impero, nella città di Ravenna il 23 marzo 967, delle terre situate tra il mare, il Tanaro e l'Orba, dove sono elencate sedici curtes, tra cui anche Curtemilia, Prunetum, Dego, Nocetum, Bagnascum, Altesinum (località della Scaletta nel comune di Castelletto Uzzone), Maximinum... tutti situati in "deseris locis". Da qui prese nome il Vasto, da guasto, distruzione, termine di cui si fregiarono i discendenti di Aleramo: marchesi del Vasto, primo fra tutti il potente Bonifacio del Vasto, dal quale discero i marchesati del Monferrato, di Saluzzo, di Clavesana, di Ceva, di Busca e di Savona, evolutosi in seguito nei marchesati Del Carretto.
Verso l'anno Mille, quando tutte le Alte Langhe presentano l'organizzazione ecclesiastica delle pievi, in molte bolle pontificie è citata la plebs de Santa Maria de Gudega, comprendente l'ecclesia di Saliceto con le dipendenze di Camerana, Cengio e Lavaniola quae dicitur Gutta o Gauta Sicca (goccia secca poiché vi si era essiccata una fonte di olio miracoloso in seguito ad un sacrilegio: vi era stato portato a guarire un maialino al posto di un cristiano!). Nel 1050 risulta che i Salicetesi, con altri paesi dell'Alta Langa, versassero la decima ecclesiastica ai frati del Monastero di San Benedetto al Belbo, fondato pochi anni prima, nel 1036 (D. Pio Giovanni Battista "Cronistoria dell'antico Mandamento di Bossolasco con cenni sulle Langhe). A metà del XII secolo nel complesso sistema d'infeudazioni Saliceto risultava l'estremo avamposto meridionale, verso il mare Ligure, della Repubblica di Asti, alleata con i marchesi Del Carretto, signori delle Valli della Bormida nella lunga guerra che la contrapponeva ad Alessandria, Alba e al Marchesato di Ceva (codex Astensis e antichi cronisti astensi).
Il borgo di Saliceto nel fondovalle risulta prospero, circondato da mura e dotato di molte torri già a metà del secolo XV, come documentato in un affresco "gotico-subalpino" nell'antica sacrestia della chiesa di Sant'Agostino, adiacente alla parrocchiale di San Lorenzo. Anche il castello, soprattutto sul lato di levante, era già presente a quell'epoca per le alte volte gotiche all'interno, mentre all'esterno presenta i tipici motivi decorativi medioevali; inoltre, all'interno, vi sono pregevoli affreschi trecenteschi, tra cui una natività attribuita al pittore senese Taddeo di Bartolo, unica in Piemonte.

Altri affreschi, raffinatissimi, sembrano più antichi ancora e, secondo il professore universitario argentino Moretto, sono riconducibili all'arte sveva tipica dell'Italia Meridionale, scuola palermitana, per gli intensi rapporti tra i marchesi Del Carretto e la casata imperiale discendente da Federico Barbarossa, con peculiare riferimento a Bianca Lancia, l'ultima moglie "in atículo mortis" di Federico II, il più illustre signore del Sacro Romano Impero. Si tratta di tre composizioni pittoriche: due raffinatissimi volti femminili sulle pareti, inseriti in rombi tra croci di Davide, immersi in delicati motivi floreali, e un agnello simbolo del Cristo sulla volta, con croce impreziosita da perle, le stimmate e il petto ferito, dove sgorga il sangue in denso zampillo, in direzione della coppa del Graal.

Saliceto, staccatosi dal Terziere di Millesimo, fu centro di un prospero marchesato comprendente con alterne vicende Camerana, Gottasecca, Cengio, Paroldo e, per un breve periodo, anche Montezemolo; prosperità derivata dal fatto che il suo territorio era attraversato da importanti strade, prime fra tutte la Magistra Langarum, la strada maestra delle Langhe che collegava Alba ed Asti ai porti marittimi di Savona, Noli, dall'antica repubblica, e Finale.
Questo marchesato ebbe termine nell'anno 1450, all'epilogo della "guerra del Finale" descritta dal Filelfo, allorché il marchese Giorgino Del Carretto fu condotto prigioniero nella città di Asti, dove morì rinchiuso in una torre. In quell'occasione il borgo e il castello furono occupati dai francesi, alleati dei Finalesi, e per espugnare il borgo vennero utilizzati barilotti di polvere da sparo in sotterranei appositamente scavati, per aprire varchi nelle mura: tra le prime testimonianze di questa tecnica bellica.
La violenta guerra di Genova, tesa a conquistare il Marchesato di Finale, unica terra veramente libera sull'arco ligure, si concentrò soprattutto su Finalborgo e Saliceto. Già nel 1448 il popoloso borgo in Val Bormida fu occupato dai cavalieri francesi che presidiavano Asti e il marchese Giorgino Del Carretto ricorse all'aiuto dei Genovesi per tornarne in possesso. Per questa impresa ricevette 400 fanti genovesi, soprattutto i temibili balestrieri, e quando i francesi si ritirarono intimoriti di fronte ai quei 400 balestrieri, il marchese, furente per la complicità palesata dai borghigiani verso il sovrintendente del re di Francia Filiberto d'Orleans, che li aveva resi liberi da tutti i gravami feudali, abbandonò il borgo ad un terribile saccheggio. Fino ad allora erano considerati “uomini liberi” di Saliceto soltanto gli Ayrali, i Garello e gli Scazzino, più "illi de Rosa": quelli della Rosa?, la collina della Rosa?, di difficile identificazione (da un atto custodito presso l'archivio comunale di Saliceto, di cui si fa cenno in seguito).

"Attingendo da diverse fonti autorevoli, vorrei raccontarvi un po’ della storia di Saliceto.
Ringrazio anticipatamente gli amici Guido Araldo, Giorgio Baietti ed il Nostro caro Maestro Augusto anche se non è più tra noi. Cercherò attraverso i loro scritti, studi e ricerche di fare un buon lavoro di “copia e incolla” aggiungendo ciò che sono venuta a conoscenza nelle mie letture e ricerche…"
Marina
Storia di Saliceto II
La faccenda dei diritti concessi da Filiberto d'Orleans si risolse il 16 novembre 1482, con un arbitrato notarile: la sentenza fu eletta nell'antica chiesa di Santa Maria (de Gudega?) di fronte ai capi famiglia di Saliceto (il più antico documento storico presente nell'archivio del municipio): al marchese di Finale, nuovo signore del vasto feudo, all'epoca Galeotto II Del Carretto, fu riconosciuta legittima la richiesta di ripristinare gli antichi diritti feudali, con la revoca delle concessioni rilasciate dal rappresentante del re di Francia, troppo magnanimo per opportunismo.
Va ricordato che Filiberto d'Orleans governò i feudi di Saliceto e Paroldo per una dozzina di anni, alla fine della guerra del Finale. Sempre lo storico Filelfo, fonte preziosissima, ricorda che l'audace capitano francese, il cui controllo si estendeva anche alla Pietra della Marina (Pietra Ligure), effettuava azioni di pirateria nel tratto di mare di fronte alla Pietra, dopo aver armato due galee. Non soltanto si permetteva di saccheggiare i navigli genovesi, ma ne prendeva in ostaggio i capitani e le personalità più insigni che trovava a bordo per poi trasferirli in una torre di Saliceto, prigionieri, in attesa del riscatto. Le vibranti proteste del potente Banco di san Giorgio riuscirono alfine a raggiungere il re di Francia che richiamò in patria l'intraprendente suo rappresentante sulle Langhe. A Filiberto d'Orleans subentrarono due suoi luogotenenti: uomini d'arme, che di fretta si sbarazzarono dei feudi di Saliceto e Paroldo, offrendoli al miglior offerente e il miglior offerente chi poteva essere? Il marchese di Finale!
In tal modo Saliceto fu annesso al Marchesato di Finale con Paroldo. Subito dopo, nei primi anni del 1500, fu coinvolto in un intenso rinnovamento edilizio, che raggiunse l'apice con la costruzione della nuova parrocchiale di San Lorenzo, monumento nazionale per la straordinaria architettura rinascimentale, pari se non superiore allo stesso duomo di Torino, edificata sul luogo dell'antica pieve di Santa Maria. Un'opera d'impronta bramantesca voluta dal marchese - cardinale Carlo Domenico Del Carretto, sicuramente il più notevole rappresentante della casata finalese, amico tanto del papa Giulio II quando del re di Francia Luigi XII e, probabilmente, di Leonardo da Vinci durante i suoi soggiorni presso la corte francese. Era anche fratello maggiore di Fabrizio Del Carretto, in quegli anni gran maestro dei Cavalieri di Rodi. La facciata della chiesa, mirabilmente scolpita, presenta molteplici e raffinate figurazioni decorative a bassorilievo, dove spiccano sirene dal seno scoperte, salamandre (ritenute un animale ignifugo), l'araba fenice, il pellicano che nutre i propri piccoli con il proprio sangue e, soprattutto, bassorilievi emblematici e misteriosi come un enigmatico "Bafometto" (l'idolo che i Templari erano accusati di adorare) esattamente come descritto da Guglielmo da Nogaret, gran cancelliere del re di Francia e loro massimo accusatore: enormi baffi e zampe da caprone. È collocato alla sommità della lesena all'estrema destra della facciata. Da evidenziare, inoltre, un probabile Ermete Trismegisto, unico in tutta Europa, su entrambe le "colonne" ai lati della porta d'ingresso (simili raffigurazioni, rarissime, si trovano soltanto nei portali di case private quattrocentesche, come nel caso del portale del "Trionfo Doria" in Via Chiossone 1 nel centro storico di Genova. Attualmente la facciata in pietra arenaria risulta gravemente vilipesa al fluire inesorabile delle stagioni e si riscontrano notevoli difficoltà nella sua conservazione. L'interno della chiesa è inoltre totalmente affrescato... Altra scultura, probabilmente unica in tutta Europa, è una pietra in arenaria recentemente rinvenuta sull'architrave di una casa del centro storico dov'è scolpito lo stemma dei marchesi del Carretto sormontato da un triangolo simile ad un manico, con due martelli ai lati: la più antica testimonianza dei Francs-Maçons costruttori di cattedrali?

Nel 1583 Saliceto e Paroldo, con metà di Camerana e parte della Rocchetta di Cengio, facevano ancora parte del Marchesato di Finale, ormai prossimo alla fine. Una lapide, murata nella cupola all'interno della chiesa, riporta la data 1583 e il nome del penultimo marchese Alexander Del Carretto, abbas Bonacombae (abate di Buonacomba, marchese tra il 1583 e il 1596), abbinato al fratello Fabbritius Del Carretto eques Hierosolymitanus Comendator Mediolanensis. Seguì una breve occupazione spagnola, per il coinvolgimento nella congiura del conte di Millesimo Ottaviano Del Carretto e del marchese Tethe Del Carretto di Gorzegno complici nel tentativo di costituire un libero "cantone" sulle Langhe, simile ad una "nuova Ginevra", ad imitazione della città sul lago di Lemano che si era affrancata dall'autorità sabauda proprio in quegli anni (documenti rinvenuti nell'archivio storico del castello di Simancas nella Vecchia Castiglia da Don Scaglione). E proprio questa occupazione fu determinante per sgretolare il marchesato di Finale, facendogli perdere ogni controllo sui paesi langhetti.
Dall'inizio del XVII secolo le illegittime pretese dei duchi sabaudi, tesi ad inglobare nei loro domini i feudi imperiali delle Langhe, si fecero sempre più insistenti ed invadenti. Ancora nel 1621, l'8 novembre, il feudo di Saliceto veniva investito al re di Spagna Filippo II dall'imperatore Ferdinando II, con tutte le antiche possessioni del marchesato di Finale, ed esattamente Finale con il Castel Borgo e il Castel Franco, Busile, Calizzano, Murialdo, Massimino, Osiglia, Bormida, Paroldo, metà di Camerana e parte della Rocchetta di Cengio. All'epoca Finale era diventato il "porto delle Fiandre" e vi transitavano le truppe inviate a reprimere la ribellione dei Paesi Bassi, giacché la strada che portava a Milano attraversava i feudi imperiali delle Langhe senza interessare la Repubblica di Genova e i domini Sabaudi e costituiva un autentico corridoio verso la Lombardia. Ma in quegli anni, con un autentico scippo, Saliceto era stato sottratto illegalmente al Sacro Romano Impero e così, quando nel 1639 gli Spagnoli vennero a conquistare il forte di Cengio, il territorio di Saliceto risultava presidiato da una compagnia piemontese al comando del capitano Buttino di Ceva. Fu allora che accadde il fatto d'arme più famoso, allorché un cecchino dotato di un archibugio da uccellatore fulminò con un colpo magistrale, sparato da grande distanza, il comandante dell'armata spagnola: Don Martino d'Aragona. Gli storici riferirono che per questo gran colpo di moschetto fu raso al suolo, fino alle fondamenta, il castello, come rappresaglia. A subire questa sorte fu sicuramente il Castelvecchio sulla collina della Rosa, giacché il castello nel fondovalle, dotato di quattro grandi torrioni agli angoli e inserito nel circuito dei "Castelli Aperti" del Basso Piemonte, oltre alle strutture gotiche e agli affreschi trecenteschi attribuiti a Taddeo di Bartolo, e altri forse duecenteschi, presenta pregevoli architetture rinascimentali, come l'elegante scalone a loggiato che unisce la corte interna al piano superiore.
Risale al 1666 il primo catasto, strumento sabaudo per imporre le tasse di proprietà, tuttora custodito nel municipio; ma Saliceto, territorio imperiale, non è mai stato infeudato ai duchi di Savoia!

Ancora il 31 agosto 1577, mentre l'intera Val Padana era terrorizzata dal dilagare della peste, l'imperatore Rodolfo II d'Asburgo infeudava il marchese Alfonso II Del Carretto del borgo e del castello di Saliceto, con tutti le altre pertinenze del finalese a cominciare dal Castel Borgo e dal Castel Franco, e con le sue dirette dipendenze di Paroldo, metà di Camerana e parte della Rocchetta di Cengio. In seguito, essendo entrato in crisi il marchesato di Finale per motivi dinastici ed essendo prossimo ad essere "acquisto" dalla Spagna, il duca di Savoia Carlo Emanuele s'impossessava illegalmente dei territori langhetti di questo stato e, addirittura, addiveniva ad uno scambio con Scipione Del Carretto, figlio di Filiberto I dei Marchesi Del Carretto di Finale. Subito dopo, con un autentico atto di pirateria politica, in data 6 aprile 1588 cedeva Saliceto e Murialdo, sui quali non vantava diritti, a Scipione Del Carretto, in cambio di Zuccarello, Erli, Castelvecchio (di Rocca Barbena) e Castelbianco. Per rendere più equo lo scambio a Saliceto e Murialdo il duca aggiungeva Bagnasco in Val Tanaro, con l'enorme somma di 60.000 Scudi d'oro per il versamento dei quali il procuratore di Scipione rilasciò regolare ricevuta. La corruzione del marchese Scipione, i cui stessi diritti su Zuccarello, Erli, Castelbianco e Castelvecchio erano illegittimi, coinvolse anche le sue due figlie, alle quali il duca sabaudo elargì 1.000 Scudi d'oro ciascuna come dote; poi a ciascun parente di Scipione Del Carretto che non si fosse opposto ad una simile truffa assicurò altri 1.000 d'oro. Al fratello di Scipione di nome Prospero, complice in questa illecita transazione, fu riconosciuta una pensione, per tutta la durata della sua vita, di 400 Scudi d'oro! All'epoca i duchi sabaudi erano propensi a qualsiasi temerarietà, anche a vendersi l'anima al diavolo, pur di avvicinarsi al mare nella Riviera Ligure di Ponente: ambivano ad uno sbocco in quel mare meno impervio di Nizza, al di là delle alte Alpi Marittime; impresa che fu loro sempre negata finché ci fu la Repubblica di Genova, anche se alla fine riuscirono ad acquisire l'approdo di Oneglia, ma gli fu impedito di realizzare un corridoio nell'Entroterra che lo collegasse alla Val Tanaro.
Ovviamente sia il procuratore imperiale che la Repubblica di Genova e soprattutto Ottavio Del Carretto, che vantava legittimi diritti su Zuccarello, Erli, Castelbianco e Castelvecchio, si opposero a questa transazione palesemente illegale, che ledeva i loro diritti. Il procuratore dell'imperatore del Sacro Romano Impero evidenziò come tutti i feudi che costituivano l'oggetto dell'illecita transazione, ad eccezione di Bagnasco, appartenessero alla Camera Imperiale, e che lo stesso marchese Scipione Del Carretto non potesse vantare diritti su di essi in quanto condannato per gravi delitti, incluso un omicidio. Precisava, inoltre, che contro di lui era stata emessa sentenza di colpevolezza in contumacia, con la confisca di tutti i suoi beni. Peraltro, quando Scipione Del Carretto giunse a Saliceto, eletto a sua residenza privilegiata, dimostrò tutta la sua protervia con la pretesa di ripristinare, nudi e crudi, gli antichi privilegi feudali, stemperati, mitigati, addolciti da un secolo di dominio dei marchesi di Finale, soprattutto per la magnanimità del marchese - cardinale Carlo Domenico Del Carretto, che durante tutta la sua vita riservò un peculiare riguardo per Saliceto: atteggiamento finora rimasto senza spiegazioni. Di fronte a simili pretese si rischiò una rivolta popolare,poiché i Salicetesi non erano disposti a rinunciare ai privilegi faticosamente acquisiti, e fu necessario l’intervento di un cancelliere del duca sabaudo, dotato di pieni poteri, per stemperare la tensione ed indurre il nuovo marchese arrogante, noto capitano di ventura con propria compagnia di mercenari, a miti consigli.
La diatriba continuò per 35 anni, finché nell'anno 1623 si giunse allo scontro armato tra il Duca sabaudo e la Repubblica di Genova, che vedeva minacciata la città di Albenga, prossima a Zuccarello, per le mire espansionistiche dei signori di Torino. Nel frattempo il marchese Scipione Del Carretto, condannato per omicidio, privato dei suoi beni, era stato promosso dall'ineffabile duca Carlo Emanuele I a governatore di Mondovì, e suo figlio Filiberto II, succedutogli illegittimamente come marchese di Saliceto, Bagnasco e Murialdo, fu nominato Gran Ciambellano dal solito duca Carlo Emanuele, Maresciallo di Campo Generale e inviato ambasciatore a Vienna; nel 1628 fu nominato governatore di Trino e nel 1631 venne insignito dal duca Amedeo I, succeduto a Carlo Emanuele, dell'Ordine Supremo del Collare della SS. Annunziata. Infine, l'anno successivo, fu promosso nientedimeno che governatore della Città di Nizza e del suo contado!
Saliceto fu occupato dalle truppe francesi guidate da Napoleone Bonaparte dopo che l'11 aprile 1796 l'armata rivoluzionaria sfondò il fronte nei boschi di Montenotte, in prossimità del Colle di Cadibona. Lo stesso Napoleone dormì a Saliceto, in casa Roddolo, le notti del 16 e 17 aprile, dopo la sanguinosa conquista del castello diroccato di Cosseria, che costò ai francesi il sacrificio di 2.000 soldati e tre generali. Da qui, finalmente divise le armate austriaca e piemontese, il giovane generale, all'epoca ventisettenne, diramò gli ordini che portarono allo sfondamento definitivo del sistema difensivo allestito dall'esercito piemontese nel Monregalese, per giungere rapidamente alla pace di Cherasco e permettere l'avanzata in Lombardia delle truppe vittoriose.
"I misteri di Saliceto ed i tesori architettonici, storici e archeologici raccontati da Guido Araldo.
Si ringraziano Pinuccio Astegiano per le riprese e Alessandro Bisson per l'arrangiamento musicale e del filmato."
Marina
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Data pubblicazione: Maggio 2011
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PARTE 2
PARTE 3
PARTE 4
Curiosità storiche